Giuseppe Verdi - Messa di Requiem - Dir. Karajan 1985 [Eac Ape Cue][TNTvillage]
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Giuseppe Verdi - Messa di Requiem - Dir. Karajan 1985 [Eac Ape Cue] [Tntvillage.Scambioetico]
Messa di Requiem
GIUSEPPE VERDI
Giuseppe Verdi
Giuseppe Fortunino Francesco Verdi (Roncole Verdi, 10 ottobre 1813 – Milano, 27 gennaio 1901) è stato un compositore italiano autore di melodrammi che fanno parte del repertorio operistico dei teatri di tutto il mondo.
Giuseppe Verdi nacque nelle campagne della bassa parmense, a Roncole, frazione di Busseto, il 10 ottobre 1813 da Carlo, oste e rivenditore di generi alimentari, e Luigia Uttini, filatrice. Carlo proveniva da una famiglia di agricoltori piacentini (stesse origini della moglie) e, dopo aver messo da parte un po' di denaro, aveva aperto una modesta osteria nella casa di Roncole, la cui conduzione alternava al lavoro dei campi. L'atto di nascita fu redatto in francese, appartenendo in quegli anni Busseto e il suo territorio all'Impero francese creato da Napoleone.
Pur essendo un giovane di umile condizione sociale, riuscì tuttavia a seguire la propria vocazione di compositore grazie alla buona volontà e al desiderio di apprendere dimostrato. L'organista della chiesa di Roncole, Pietro Baistrocchi, lo prese a benvolere e gratuitamente lo indirizzò verso lo studio della musica e alla pratica dell'organo. Più tardi, Antonio Barezzi, un negoziante amante della musica e direttore della locale società filarmonica, convinto che la fiducia nel giovane non fosse mal riposta, divenne suo mecenate e protettore aiutandolo a proseguire gli studi intrapresi.
La prima formazione del futuro compositore avvenne tuttavia sia frequentando la ricca biblioteca della Scuola dei Gesuiti a Busseto, ancora esistente, sia prendendo lezioni da Ferdinando Provesi, maestro dei locali filarmonici, che gli insegnò i principi della composizione musicale e della pratica strumentale. Verdi aveva solo quindici anni quando, nel 1828, una sua sinfonia d'apertura venne eseguita, in luogo di quella di Rossini, nel corso di una rappresentazione di Il barbiere di Siviglia al teatro di Busseto. Nel 1832 si stabilì a Milano, grazie all'aiuto economico di Antonio Barezzi e a una "pensione" elargitagli dal Monte di Pietà di Busseto. A Milano tentò inutilmente di essere ammesso presso il locale prestigioso Conservatorio e fu per diversi anni allievo di Vincenzo Lavigna, maestro concertatore alla Scala. Nel 1836 sposò Margherita Barezzi, ventiduenne figlia del suo benefattore, con la quale due anni più tardi andò a vivere a Milano in una modesta abitazione a Porta Ticinese. Nel 1839 riuscì finalmente, dopo quattro anni di lavoro, a far rappresentare la sua prima opera alla Scala: era l'Oberto, Conte di San Bonifacio, su libretto originale di Antonio Piazza, largamente rivisto e riadattato da Temistocle Solera. L'Oberto era un lavoro di stampo donizettiano, ma alcune sue peculiarità drammatiche piacquero al pubblico tanto che l'opera ebbe un buon successo e quattordici repliche.
Genesi della Messa di Requiem
Dopo il successo di Aida Verdi si ritirò per un lungo periodo dal teatro d'opera.
Non smise tuttavia di comporre e il lavoro più importante di questo periodo è appunto la Messa di Requiem (talvolta definita impropriamente Messa da Requiem o semplicemente Requiem).
In realtà egli pensava da tempo ad una composizione di questo tipo, tanto che nel 1869 aveva organizzato una messa di requiem a più mani per la morte di Gioachino Rossini (nota come Messa per Rossini). Il "Libera me Domine" della messa del 1874 fu composto in quell'occasione.
Verdi rimase molto impressionato dalla morte del compatriota Alessandro Manzoni, avvenuta nel 1873. Manzoni, come Verdi, si era impegnato per l'unità di Italia avvenuta pochi anni prima, e condivideva dunque con lui i valori tipici del Risorgimento, di giustizia e libertà. La sua morte gli fornì dunque l'occasione per realizzare il vecchio progetto, questa volta componendo l'intera messa.
Il requiem, che Verdi offrì alla città di Milano, fu eseguito in occasione del primo anniversario della morte di Manzoni, il 22 maggio 1874, nella Chiesa di San Marco sempre a Milano. Venne diretto dallo stesso Verdi ed i quattro solisti furono Teresa Stolz (soprano), Maria Waldmann (mezzosoprano), Giuseppe Coppini (tenore) e Ormondo Maini (basso). Il successo fu enorme e la fama della composizione superò presto i confini nazionali.
Nel 1875 Verdì operò una revisione al Liber scriptus, sostituendo il fugato del coro con un'aria per mezzosoprano.
Registrazioni storiche
Esistono due incisioni della Messa di Requiem verdiana dirette da Arturo Toscanini:
La prima (live) il 27 maggio 1938 a Londra con la BBC Symphony Orchestra, interpreti: Zinka Milanov (soprano), Kerstin Thorborg (mezzosoprano), Helge Rosvaenge (Tenore), Nicola Moscona (basso);
La seconda (studio) il 27 gennaio 1951 a New York con la NBC Symphony Orchestra, interpreti: Herva Nelli (soprano), Fedora Barbieri (mezzosoprano), Giuseppe Di Stefano (tenore), Cesare Siepi (basso).
Quote:
Verdi - Requiem
nella Tradizione e oltre
PIERLUIGI PETROBELLI
La morte di Rossini, avvenuta a Passy nel novembre 1868, superò ben presto la dimensione dell'evento di cronaca e venne ad assumere un carattere emblematico per la musica italiana - e per il paese intero, che proprio in quel momento storico andava faticosamente costruendo una sua identità fisica e spirituale.La nascita del nuovo stato coincideva con un profondo mutamento nel ruolo e nell'importanza del melodramma italiano nel complesso della vita musicale europea. Era stato Rossini, erano stati i suoi trionfi a dare al genere una supremazia incontrastata nei teatri dell'Europa intera. Tutto era avvenuto in poco più di un decennio, e nel momento in cui il compositore di Pesaro concludeva la sua intensissima, eppur breve carriera operistica con il Guillaume Tell (1829), il grand-opéra era — per il melodramma — l'unico temibile concorrente, e nella sola Parigi. Le opere di Bellini, di Donizetti e del giovane Verdi non avevano fatto che rafforzare questo predominio, e sia pure operando in diverse direzioni stilistiche; il predominio era rimasto inalterato anche con la scomparsa in età relativamente giovane di due dei protagonisti, e col rapido decrescere del ritmo produttivo di Verdi dopo i primi anni '50. La fortuna dell'opera italiana si era manifestata anche attraverso il graduale affermarsi di un altro fenomeno: accanto alle "opere nuove" di vita effimera, venivano con sempre maggior frequenza eseguite - tra il 1830 ed il 1860 - opere già da tempo affermate, per lo più create proprio da quei quattro compositori; il successo era determinato soprattutto da valori intrinseci alle partiture, più che dipendere dal virtuosismo vocale degli interpreti che le avevano eseguite la prima volta, e portate in giro; si era insomma venuto formando un "repertorio" fenomeno fino ad allora praticamente sconosciuto nella storia del teatro in musica italiano. L'apprezzamento di valori più specificamente musicali e drammatici veniva a coincidere con un crescendo di interesse da parte del pubblico italiano verso la musica strumentale, anche e soprattutto quella dei romantici tedeschi. A ciò si aggiunse l'inclusione nel "repertorio" non solo dei grand-operas di Meyerbeer — che dopo tutto era stato educato nella tradizione italiana - ma anche di opere di compositori a questa completamente estranei, come Gounod con il suo Faust; e di Wagner si parlava già da molto tempo. Insomma, con la morte di Rossini un capitolo della musica europea si chiudeva definitivamente, e la musica italiana veniva a perdere un preciso punto di riferimento, la figura nella quale identificare in modo indiscusso i valori più genuini dello stile nazionale. Si avvertiva sempre più che quella supremazia incontrastata aveva ormai subito un'incrinatura, e per di più all'interno della tradizione che essa esprimeva. Verdi, che di questo stato di cose era lucidamente cosciente (e l'attività parigina degli anni '60 non aveva fatto che acuire questa presa di coscienza), volle promuovere, alla morte di Rossini e servendosi di Ricordi come portavoce, una solenne celebrazione del maestro scomparso; doveva essere in sostanza un tributo dell'Italia musicale intera al rappresentante più illustre della tradizione nazionale, un estremo saluto dei viventi all'artista che con tanta coerenza e tanta autorità l'aveva imposta nel mondo intero. Il significato autentico di questo tributo, e il modo in cui si sarebbe dovuto attuare è detto con estrema chiarezza nella lettera con la quale Verdi comunica il progetto al suo editore; e val la pena di riportarla per intero:
Sant'Agata 17 novembre 1868
Carissimo Ricordi,
Ad onorare la memoria di Rossini vorrei che i più distinti maestri italiani (Mercadante a capo, e fosse anche per poche battute) componessero una MESSA DA REQUIEM da eseguirsi all'anniversario della sua morte.
Vorrei che non solo i compositori, ma tutti gli artisti esecutori, oltre al prestare l'opera loro, offrissero altresì l'obolo per pagare le spese occorrenti.
Vorrei che nissuna mano straniera, né estranea all'arte, e fosse pur potente quanto si voglia, ci porgesse aiuto. In questo caso io mi ritirerei subito dall'associazione. La Messa dovrebbe essere eseguita nel S. Petronio della città di Bologna che fu la vera patria musicale di Rossini. Questa Messa non dovrebbe essere oggetto né di curiosità, né di speculazione; ma appena eseguita dovrebbe essere suggellata, e posta negli archivi del Liceo Musicale di quella città, da cui non dovrebbe essere levata giammai. Forse potrebbe essere fatta eccezione per gli anniversari di Lui, quando i posteri credessero di celebrarli. Se io fossi nelle buone grazie del Santo Padre, lo pregherei di voler permettere, almeno per questa volta, che le donne prendessero parte all'esecuzione di questa musica, ma non essendolo, converrà trovare persona di me più idonea ad ottenere l'intento.
Sarà bene istituire una Commissione di uomini intelligenti onde regolare l'andamento di quest'esecuzione, e soprattutto per scegliere i compositori, fare la distribuzione dei pezzi, e vegliare sulla forma generale del lavoro. Questa composizione (per quanto possano essere buoni i singoli pezzi) mancherà necessariamente d'unità musicale; ma se difetterà da questo lato, varrà nonostante a dimostrare come in noi tutti sia grande la venerazione per quell'uomo, di cui tutto il mondo piange la perdita. Addio e credimi Aff.o G. VERDI
L'apposita commissione venne costituita, si decise la distribuzione dei pezzi, si scelsero i compositori, e i pezzi vennero scritti, ma ben presto sorsero risentimenti, rivalità, meschinerie di impresari e di esecutori, e l'iniziativa divenne irrealizzabile. Una volta venuta meno la possibilità di realizzare il progetto alla scadenza stabilita, e cioè l'anniversario della morte di Rossini, Verdi stesso insistette perché non se ne facesse nulla; così, dopo tanto progettare, parlare, scrivere e litigare, la musica della Messa a Rossini (come Verdi la chiamò nella sua corrispondenza) rimase — ed è ancora — sepolta negli archivi di Casa Ricordi. Nel piano originale di distribuzione dei movimenti che avrebbero dovuto formare la Messa, a Verdi era toccato l'ultimo, il Libera me, un brano il cui testo contiene frasi ed espressioni già incluse in sezioni precedenti: nell'Introito, "Requiem aeternam dona eis. Domine" - nella Sequenza, "Dies irae, dies illa" - e, all'interno del Responsorio stesso, il versetto iniziale, "Libera me. Domine, de morte aeterna, in die illa tremenda" dev'essere ripetuto alla fine; nello stesso testo liturgico, insomma, si trovava latente la possibilità di uno sviluppo ciclico del materiale musicale lungo l'arco della Messa intera, uno sviluppo che sarebbe stato impossibile nel progetto originario, come del resto lo stesso Verdi era perfettamente cosciente nel momento in cui formulava la sua proposta. Una volta fallito il progetto originario, cioè l'esecuzione in San Petronio nell'anniversario della morte, l'idea non venne subito abbandonata; e fu durante questa fase intermedia — prima della rinuncia definitiva — che Alberto Mazzucato, direttore del Conservatorio di Milano e membro della commissione per la Messa, scrisse a Verdi, il 2 febbraio 1871 una lettera entusiastica, esaltando la bellezza e la forza del suo Libera me ("Voi, mio caro Maestro, avete scritto la pagina più bella, più grande e più colossalmente poetica che immaginar si possa"); a cui due giorni dopo Verdi rispose:
Se alla mia età si potesse ancora decentemente arrossire, arrossirei per gli elogi che mi fate di quel mio pezzo; elogi che. non lo nascondo, venuti da un Maestro e da un critico del valor vostro, hanno un'importanza grandissima ed accarezzano non poco il mio amor proprio. E, vedi ambizione di compositore! - quelle vostre parole avrebbero quasi fatto nascere in me il desiderio di scrivere, più tardi, la Messa per intiero; tanto più che con qualche maggiore sviluppo mi troverei aver già fatti il Requiem ed il Dies irae, di cui è il riepilogo nel Libera già composto. Pensate dunque, e abbiatene rimorso, quali deplorabili conseguenze potrebbero avere quelle vostre lodi! - Ma state tranquillo: è una tentazione che passerà come tante altre. Io non amo le cose inutili. - Messe da morto ve ne sono tante, tante e tante!!! È inutile aggiungerne una di più.
Non ci si deve lasciar ingannare dalle frasi conclusive; sono tipiche dell'epistolario verdiano, e servono soltanto a buttar acqua sul fuoco delle aspettative del mondo musicale e del pubblico in genere. Questa lettera testimonia invece con quale chiarezza Verdi ormai vedeva la possibilità di uno sviluppo organico e coerente del materiale che aveva composto; e prova che — se la stesura della partitura del Requiem avvenne entro un tempo relativamente breve, e che comunque non ebbe inizio prima della tarda primavera 1873 - la gestazione, l'elaborazione concettuale dell'opera, soprattutto la sua concezione ciclica risalgono ad un tempo certamente precedente. Del resto, concepire organicamente e organizzare coerentemente in termini drammatici un'intera partitura è caratteristica distintiva dell'operista Verdi sin dall'epoca del Macbeth e della Luisa Miller. Dalla fine degli anni '40 in poi preoccupazione costante del compositore è quella di creare uno spettacolo drammaticamente unitario attraverso l'impiego e l'articolazione - lungo l'intero suo corso - di alcuni elementi estremamente semplici del linguaggio musicale (singole altezze di suoni, ritmi, timbri isolati di strumenti) che individuano non solo i poli della vicenda drammatica ma servono pure a definirne le tensioni che portano al dénouement finale. Le preoccupazioni per il destino della musica italiana. soprattutto della tradizione nazionale, non si esaurirono certo con il progetto della Messa a Rossini -, è dell'inizio del 1871 la celebre lettera a Florimo nella quale, rifiutando il posto di Direttore del Conservatorio di Napoli, Verdi tracciava una sua idea di curriculum studiorum, nel quale quelli che considerava i "classici" della musica italiana avrebbero dovuto servir di modello costante; lo studio doveva comunque concentrarsi nella pratica contrappuntistica: "Esercitatevi nella Fuga costantemente, tenacemente, fino alla sazietà, e fino a che la mano sia divenuta franca e forte a piegar la nota al voler vostro" - "Le licenze e gli errori di contrappunto si possono ammettere e son belli talvolta in Teatro; in conservatorio, no. Torniamo all'antico: sarà un progresso" (frase questa che, avulsa dal suo preciso contesto, divenne subito il vessillo del provincialismo conservatore, travisando completamente in questo modo gli intendimenti di chi l'aveva espressa). E con una fuga a quattro voci, nella quale vari artifici contrappuntistici vengono impiegati (doppio canone, inversione del tema, etc.), si conclude il Quartetto in mi minore per archi, composto a Napoli nel marzo 1873; un pezzo scritto sì "proprio nei momenti d'ozio" per tener desta l'intelligenza, ma indubbiamente anche un polemico gesto diretto alla "turba dei Maestri che sanno di musica soltanto quella che studiano sulla falsariga di Mendelson Schuman Vagner Etc."- (la frase è in una lettera a Clarina Maffei del 9 aprile 1873, alcuni giorni dopo la prima esecuzione, in forma privata, del Quartetto), per dimostrare (anche a se stesso) di poter competere con il "nemico" della tradizione italiana sul suo stesso terreno, e con le sue stesse armi. Di ritorno a Sant'Agata, Verdi si fa restituire da Ricordi, il 21 aprile, l'autografo del Libera me, e comincia a comporre il Requiem. Un mese dopo, il 22 maggio, muore a Milano Alessandro Manzoni: si presenta così l'occasione ideale per celebrare, e questa volta in completa autonomia, una figura centrale della cultura italiana: "Ora tutto è finito! E con Lui finisce la più pura, la più santa, la più alta delle glorie nostre" scrisse a Clarina Maffei il giorno del funerale dello scrittore tanto venerato; non vi prese parte, ai funerali, e fece come aveva annunciato a Giulio Ricordi: "Verrò fra breve per visitarne la tomba, solo e senza essere visto, e forse (dopo ulteriori riflessioni, e dopo aver pesate le mie forze) per proporre cosa ad onorarne la memoria" Se si considera che questa frase venne scritta il giorno seguente quello della morte dello scrittore, non v'è dubbio che Verdi pensava alla partitura del Requiem, alla quale stava lavorando. Doveva comunque essere ancora agli inizi dell'impresa se, il 9 giugno, rispondendo al Sindaco di Milano che aveva accettata la proposta di una solenne celebrazione del primo anniversario della morte di Manzoni con l'esecuzione appunto del Requiem, dichiarava: "Quando il lavoro musicale sarà ben inoltrato, non mancherò di significarLe quali elementi saranno necessari onde l'esecuzione sia degna e del paese e dell'Uomo [. .]"• e, ancora, a meno di due mesi di distanza dall'evento celebrativo, l'orchestrazione non era stata terminata, se a Tito Ricordi scriveva da Genova il 25 marzo 1874: "Prima della fine del mese manderò Requiem e Dies irae. Il resto entro il 10 d'Aprile" Fu dunque un'elaborazione lunga, meditata, complessa, ogni minimo particolare venne calibrato e deciso con la massima cura ed attenzione, ogni sillaba del terribile testo liturgico soppesata e valutata: esiste a Sant'Agata una traduzione italiana del Dies irae di pugno di Verdi, che pur conosceva perfettamente il latino ecclesiastico.
L'equilibrio complessivo della partitura è tanto più singolare in quanto le rispondenze, i parallelismi suggeriti dal testo liturgico a volte sono rispettati, a volte invece del tutto trascurati. Così sono puntualmente sviluppate le corrispondenze elencate nella lettera a Mazzucato di tre anni prima, e invece l'organizzazione ovviamente tripartita di sezioni come il Kyrie eleison e, in un certo senso, anche il Sanctus, viene completamente sommersa nel flusso del discorso musicale; o, per dir meglio, assimilata in principi costruttivi di altra origine. In tre momenti della partitura Verdi offre il suo tributo alla tradizione nazionale "classica" impiegando uno stile ispirato alla polifonia vocale cinquecentesca, così come veniva intesa nell'Italia dell'800: nel "Te decet hymnus" (il versetto dell'Introito), nel Sanctus e alla conclusione del Libera me. Lo stile di Palestrina si trova quindi all'inizio, al centro ed alla fine della partitura del Requiem; con la differenza che, mentre il "Te decet hymnus" è solo un breve episodio a cappella, incastonato fra le due esposizioni del "Requiem aeternam" tanto il Sanctus che il "Libera me" finale sono due ampie fughe in piena regola, il cui materiale tematico è volutamente apparentato. nel senso che la testa del tema della seconda è l'esatta inversione di quello della prima. Anche il Requiem, quindi, come già il Quartetto, e come sarà del Falstaff si conclude con una fuga. Eppure queste fughe della Messa sono volutamente eterodosse, nel senso che la loro conclusione prosegue, senza soluzione di continuità, in episodi liberi: con materiale del tutto indipendente (come nell'"Hosanna in excelsis") oppure con lo stesso materiale tematico della fuga, trattato però con altro stile che non quello imitativo (alla fine del "Libera me" il tema della fuga viene disteso sul ritmo del "Requiem aeternam" dell'Introito, per stabilire un equilibrio strutturale con l'inizio della composizione). A ben guardare, Verdi si serve di questo stile "classico" negli episodi in cui vuol creare delle zone testualmente neutre, nelle quali cioè la parola singola non può né deve essere esaltata; se così fosse, l'attenzione ad essa rivolta contraddirebbe la precisa funzione di quegli episodi nell'economia della partitura. Per capir questo basta osservare la declamazione del testo del "Libera me" all' inizio e alla conclusione dell'episodio, e confrontarlo con il suo impiego nella fuga centrale. Il fatto è che anche nel Requiem Verdi non può, né vuole rinnegare le innumerevoli esperienze di stile che sono divenute parte integrante della sua voce più autentica - siano o non siano esse della tradizione italiana. L'omaggio a Manzoni doveva attuarsi nella più completa e assoluta libertà di espressione, per essere veramente tale: "È un impulso, o dirò meglio, un bisogno del cuore che mi spinge ad onorare, per quanto posso, questo Grande che ho tanto stimato come scrittore e venerato come uomo, modello di virtù e di patriottismo" (ancora dalla lettera al Sindaco di Milano). E quindi il maestro della parola scenica, "che scolpisce e rende netta ed evidente la situazione" costruisce intere sezioni, brevi o lunghe, attorno a una parola-chiave, che egli trasfigura in declamazione, e quindi in musica ("Nulla di più facile, di quelle quattro note del basso 'Mors stupebit' eppure quanto difficili a dirsi bene!"); dall'immagine verbale nasce l'immagine musicale, e l'immagine musicale diventa preghiera. Altre volte un intero episodio è formato dalla semplice iterazione della frase melodica iniziale, intensificata soltanto attraverso l'elaborazione delle parti d'accompagnamento - L'Agnus Dei è un esempio stupendo di questo modo di procedere. E, anche questa, un'esperienza operistica, che tuttavia nel Requiem si integra perfettamente nello stile dell'opera grazie al rigore assoluto, all'essenzialità dei mezzi con cui viene realizzata; basta una semplice alterazione cromatica, un passaggio dal minore al maggiore per stabilire la variante. Né Verdi pensa di rifiutare nemmeno le sue esperienze d'oltralpe per onorare Manzoni. L'ascolto (e lo studio?) della Grande Messe des Morts di Berlioz deve aver esercitato su di lui la più profonda delle impressioni, a un punto tale per cui la fanfara delle trombe dell'Ultimo Giudizio nel "Tuba mirum" che si chiamano e si rispondono da lontano, e le loro interiezioni alle frasi del coro sono quasi una citazione letterale del passo omologo nella partitura del compositore francese, con il dialogo delle quattro orchestre di ottoni disposte ai quattro punti cardinali. A Verdi non occorre un tale spiegamento di forze per ottenere effetti di altrettanta potenza; ma la vera differenza consiste nella totale diversità di concezione che sta all'origine delle due opere. In Berlioz l'affresco descrittivo, la potenza delle immagini suscitate dal testo liturgico annulla ogni possibile riflessione sul significato della morte, e tutto si risolve in uno splendido dispiegarsi del linguaggio musicale, nel supremo gioco dell'intelligenza e della fantasia; la Grande Messe des Morts è un omaggio di terribile forza vitale a tutti coloro che pur son stati uomini; a essi si rivolge, e non alla morte, tanto meno a ciò che sta dopo e al di sopra di essa.
L'omaggio dell'agnostico Verdi al cattolicissimo Manzoni si risolve invece in una profonda interiorizzazione delle immagini sonore, in una pessimistica meditazione sul fine ultimo della vita, in un continuo alternarsi di slanci verso una trascendenza avvertita sempre più come improbabile, e un desolato ripiegamento sull'"annientante nulla del pensiero" cui questi slanci conducono. Si pensi soltanto alla carica di significati che la parola "nil" assume col procedere del canto nel "Liber scriptus" e, in maniera ancor più pregnante, all'unisono dei violini che congiunge la conclusione dell'ultima ripresa del "Dies irae" al "Lacrymosa" una breve ascesa che straziantemente viene piegata verso il registro grave, e che si spegne tra pause sempre più lunghe. È la medesima Weltan-schauung che sta dietro tutto il teatro verdiano; né altrimenti avrebbe potuto essere; e anche qui -come nelle partiture per la scena — l'assoluta padronanza dei termini del discorso, il supremo equilibrio formale delle singole parti, e fra le parti e il tutto, il completo dominio della forma attraverso il pensiero sono l'unico possibile conforto che l'uomo Verdi può offrire all'uomo, l'unica per lui vera preghiera.
Herbert von Karajan
Herbert von Karajan, nome di battesimo Heribert Ritter von Karajan, (Salisburgo, 5 aprile 1908 – Anif, 16 luglio 1989), è stato un direttore d'orchestra austriaco.
È generalmente considerato come uno dei più grandi direttori d'orchestra di tutti i tempi, nonché fra i migliori direttori d'orchestra del dopoguerra, è ricordato come il direttore con il maggior numero di incisioni discografiche, in particolare con i Berliner Philharmoniker, che ha guidato per trentacinque anni lasciandoli nel 1989.
Il famoso direttore d'orchestra Herbert Von Karajan nasce a Salisburgo (Austria) il 5 aprile 1908. Inizia a studiare pianoforte alla tenera età di quattro anni e solo un anno dopo si esibisce in pubblico. Studia al Gymnasium di Salisburgo, all'Accademia Musicale di Vienna e al Mozarteum di Salisburgo. Debutta come pianista professionista all'età di 18 anni. Diventa ben presto direttore stabile all'Opera di Ulm nel 1927 e ricoprirà l'incarico fino al 1934. Il suo debutto come direttore d'orchestra avviene a Salisburgo il 22 gennaio 1929.
Successivamente sarà direttore dell'orchestra di Aquisgrana (Germania), fino al 1942, e direttore della Staatskapelle di Berlino, dal 1941 al 1944.
Dopo la seconda guerra mondiale Von Karajan viene allontanata dall'attività e dalla vita artistica dagli alleati a causa della sua iscrizione al partito nazista.
Nel 1949 ottiene la nomina di direttore a vita della Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna.
Eicopre il ruolo di direttore artistico dell'Opera di Vienna dal 1956 al 1964. Nel 1967 è fondatore del Festival di Primavera di Salisburgo.
Alla morte di Furtwangler, Herbert Von Karajan gli succede nella direzione della Filarmonica di Berlino: manterrà questo incarico per tutta la vita. Von Karajan porta lustro e fama a tutto il complesso, che raggiunge livelli di fama internazionale senza precedenti.
Tra il 1955 e il 1982, Von Karajan dirige l'orchestra Filarmonica di Berlino in oltre 100 concerti negli Stati Uniti, 11 in Giappone, e tocca anche paesi come la Corea e la China. I concerti tedeschi trasmessi dalle televisioni dal 1983 al 1986 apriranno le porte della musica classica ad un pubblico vastissimo.
Attraverso la sua carriera, Karajan ha sperimentato la campionatura, l'uso di dispositivi visuali e nuove tecnologie audio per aumentare e migliorare l'espressione musicale. Dal 1965 Karajan ha prodotto film di concerti e opere in associazione con il regista francese Henri-Georges Clouzot. Interessato a migliorare la qualità dell'ascolto della musica, Karajan ha sempre adottato le innovazioni tecnologiche che gli si presentavano: nel 1980, ad esempio, eseguì la prima registrazione digitale del "Flauto Magico" di Mozart, e nel 1981, si unì a Polygram, Philips e Sony per promuovere "Compact Disc Digital Audio System" al mondo della musica.
Sebbene molti abbiano considerato Von Karajan come l'esempio negativo della commercializzazione e mercificazione della musica classica, la sua figura è tuttavia considerata tra le più influenti della vita musicale del dopoguerra. Amato o avversato Von Karajan è stato promotore di molte iniziative, è stato scopritore di talenti ed ha lasciato una immensa produzione discografica che tocca tutto il repertorio sinfonico e operistico.
Il direttore austriaco è stato insignito di numerosi riconoscimenti e premi, che includono la "Médaille de Vermeil" di Paris, la Medaglia d'oro della Royal Philharmonic Society di Londra (come prima di lui Arturo Toscanini, Sir Thomas Beecham e Bruno Walter), l'"Olympia Award" della "Onassis Foundation" di Atene e il "Premio Internazionale della Musica", dell'UNESCO.
Herbert Von Karajan muore a Salisburgo il 16 luglio 1989.
Quote:
AnnaTomowa-Sintow
soprano
Agnes Baltsa
mezzo soprano
José Carreras
tenore
José van Dam
basso-baritono
Konzertvereinigung del Coro dell'Opera di Stato di Vienna
Coro dell'Opera Nazionale di Sofia
Maestro del coro
Walter Hagen-Groll
Wiener Philharmoniker
Orchestra Filarmonica di Vienna
HERBERT VON KARAJAN
COMPACT DISC 1 [47'04]
- I. 1 REQUIEM (coro, soli) [7'51]
- II. DIES IRAE
- 2 Dies irae (coro) [2'20]
- 3 Tuba mirum (coro, basso) [3'47]
- 4 Liber scriptus (mezzo-soprano, coro) [5'05]
- 5 Quid sum miscr (soprano, mezzo-soprano, tenore) [3'52]
- 6 Rex tremendae (soli, coro) [3'42]
- 7 Recordare (soprano, mezzo-soprano) [4'28]
- 8 Ingcmisco (tenore) [3'55]
- 9 Confutatis (basso, coro) [5'57]
- 10 Lacrymosa (soli, coro) [6'01 ]
COMPACT DISC 2 [39'34]
- III. OFFERTORIO (soli) [11'20]
- IV. SANCTUS (doppiocoro) [3'00]
- V. AGNUS DEI (soprano, mezzo-soprano, coro) [4'41]
- VI. LUX AETERNA (mezzo-soprano, tenore, basso) [6'29]
- VII. LIBERA ME (soprano.coro) [13'52]
Production: Gùnther Breest
Recording Supervision: Michel Glotz Recording Engineer Günter Hermanns
Editor' Reinhild Schmidt
® 1985 Polydor International GmbH. Hamburg
© 1985 Prof. Dr Stefan Kunzc/Prof. Dr Pierluigi Pctrobelli
Booklet Editor' Richard Evidon
Cover Photo: Dieter Schlcifcnbaum, Hamburg
Artist Photos: Gabriela Brandenstein. Wien Siegfried Lauterwasser Überlingen
DATI TECNICI E NOTE
CD 1
Artist Name : Herbert von Karajan & Wiener Philharmoniker
Album Title : Verdi : Requiem (CD1)
Date : 1984
Genre : Classical
Total Tracks : 10
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CD 2
Artist Name : Giuseppe Verdi
Album Title : Verdi Requiem
Date : 1994
Total Tracks : 5
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Codec : Monkey's Audio
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Encoding : lossless
Embedded Cuesheet : yes
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Embedded Cuesheet : YES
Fonte: CD originali registrazione DDD Deutsche Grammophone Germany
Rip effettuato con EAC+Monkey's Audio
Quote:
CD 1
CD 2
Booklet
Cover
Cover Retro
Dimensione totale dei file: 360 MB
Files:
Booklet- Booklet002.jpg (2.2 MB)
- Booklet003.jpg (2.0 MB)
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- Booklet020.jpg (952.3 KB)
- Booklet021.jpg (482.4 KB)
- Booklet022.jpg (1.5 MB)
- Cover1.jpg (802.5 KB)
- Cover4.jpg (259.3 KB)
- Herbert von Karajan & Wiener Philharmoniker - Verdi - Requiem (CD1).ape (182.1 MB)
- Herbert von Karajan & Wiener Philharmoniker - Verdi - Requiem (CD1).cue (1.9 KB)
- Herbert von Karajan & Wiener Philharmoniker - Verdi - Requiem (CD1).log (6.7 KB)
- Verdi - Requiem (CD1).cue (1.8 KB)
- Giuseppe Verdi - Verdi Requiem.ape (145.5 MB)
- Giuseppe Verdi - Verdi Requiem.cue (0.9 KB)
- Giuseppe Verdi - Verdi Requiem.log (5.1 KB)
- Verdi Requiem.cue (1.1 KB)
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